COME AGIRE DI FRONTE AD UN SOSPETTO DI DISBIOSI?
Il termine disbiosi identifica una generica alterazione della flora batterica umana.
A prescindere che la si consideri o meno una malattia, la Disbiosi può essere curata solitamente correggendo semplicemente le proprie abitudini alimentari, a volte ricorrendo ad integratori specifici. Comunque sia, prima di intraprendere un qualsiasi trattamento è importante definire in maniera chiara le cause d’origine ed il tipo di alterazione che si è venuta a creare.
Se ad esempio i disturbi sono legati alla cosiddetta sindrome da contaminazione batterica del tenue, la spontanea assunzione di fermenti lattici o dei tanto pubblicizzati probiotici potrebbe peggiore il problema; analogo discorso per i prebiotici e per gli eccessi di fibre in genere.
Per indagare l’origine di un’eccessiva flatulenza possono essere eseguiti i cosiddetti breath test. Durante questi esami al paziente viene somministrata una certa quantità di un nutriente noto e dopo un certo periodo di tempo, nei gas respiratori, vengono valutate le concentrazioni dei marker di normale o alterato metabolismo intestinale della sostanza. Non dobbiamo poi dimenticare le potenziali cause patologiche della disbiosi, che devono essere necessariamente indagate tramite esami appropriati.
Tra gli altri esami potenzialmente utili, sempre da effettuarsi in base al sospetto anamnestico, ricordiamo la coprocoltura, il pH delle feci e la prova dell’indolo nelle urine.
La disbiosi può essere considerata come un disturbo largamente diffuso, frutto di un’alimentazione e di uno stile di vita scorretto, oppure come una vera patologia, presente in pochi sfortunati a causa di particolari terapie farmacologiche, interventi chirurgici (resezioni intestinali, bypass gastrointestinali ecc.) o patologie dell’apparato digerente.
Nel primo caso i sintomi devono essere lievi ed accrescere di fronte all’ingestione di determinati alimenti, in quantità e qualità ben stabilite; in questo caso, è sufficiente allontanare dalla dieta l’alimento sospetto per una settimana; se si apprezza una regressione dei disturbi gastro-intestinali si reintroduce l’alimento e si osservano le reazioni dell’organismo. Nel caso in cui i sintomi ricompaiano, l’alimento va definitivamente allontanato dalla propria dieta per qualche mese, provando poi a reintrodurlo gradualmente ed in piccole quantità.
Ci sono poi casi in cui i sintomi della Disbiosi non sono collegati ad uno specifico alimento, ma a precise categorie alimentari; due sono le situazioni più comuni, quella putrefattiva e quella fermentativa. Nel primo caso i sintomi della disbiosi sono scatenati da diete eccessivamente ricche di carni e grassi animali, ma povere di fibre; tale condizione può accompagnarsi a stitichezza o ad emissione di feci poco formate ed oleose, con espulsione di gas intestinali di odore particolarmente cattivo (gli aminoacidi derivati dalle proteine maldigerite subiscono un processo di decarbossidazione che produce amine tossiche e maleodoranti, il pH delle feci tende ad aumentare come risultato dell’accresciuta produzione di ammoniaca). Tale condizione è aggravata dalle terapie antibiotiche.
Nella disbiosi fermentativa, invece, l’origine dei sintomi va ricercata in una dieta eccessivamente ricca di zuccheri e carboidrati complessi, od in problemi di malassorbimento, sia specifici (intolleranze al lattosio, al saccarosio ecc.) che generalizzati (celiachia, parassitosi ecc.). In questo caso, contrariamente alla Disbiosi putrefattiva, l’assunzione di fermenti lattici, probiotici (lattobacilli e bifidobatteri) o di integratori di fibra, non solo non migliora la condizione, ma tende addirittura a peggiorarla; occorre dunque intervenire prima di tutto accertando l’assenza di intolleranze o malattie degli organi digestivi, ed in un secondo momento con diete povere di amidi, zuccheri e scorie, affiancate da terapie antibiotiche.